Quand’é che vinci veramente?
Vivo da sola da 2 anni, ho chiuso quella partita IVA che sapeva molto di partita e di imposta ma che di valore aggiunto sapeva ben poco, continuo a non saper cucinare e vivo con la speranza che la mia casa un giorno mi prenda per mano e mi dica “tranquilla Alessia, sono auto pulente”.
Sono già passati 12 mesi dai miei ultimi buoni propositi, mi guardo indietro, mi guardo avanti, e vedo che il numero 31 dei miei anni incombe sulla mia vita così come il “profumo” delle squame e delle lische del pesce che ho mangiato due sere fa, e che ora adagiano serene in quel sacchetto dell’umido sotto il lavandino da ormai più di 48 ore, incombe sulla mia cucina.
Ma sono veramente i 31 anni a farmi pensare? No. Direi proprio di no. Roger Federer dice che “l’età è solo un numero”. Ed è vero. Perché non è il numero degli anni ciò che conta sul bilancio della tua vita, ma è il come vivi e come scegli di vivere questi tuoi anni.
Così, anche quando meno te lo aspetti, ci sono momenti in cui ti fermi e ti rendi conto che il tempo scorre e corre veloce più di quanto ti immagini. Ed è proprio in quel momento che ti chiedi “Quand’è che vinci veramente?”.
Io e la cucina, come ormai saprete, non siamo molto amiche; siamo come due linee parallele che però non si incontreranno mai, nemmeno all’infinito. E così la maggior parte delle volte rientro a casa dopo cena. A casa ci vado solo per dormire, praticamente. Entro, e mentre con una mano chiudo la porta con l’altra accendo la luce. Poi mi tolgo le scarpe con l’elegante gesto della punta del piede destro che poggia sul retro della scarpa sinistra, e viceversa, e poggio le chiavi di macchina e dimora su quel mobile messo subito là, alla sinistra della porta di entrata, perché pensato proprio per questo gesto. Mi strucco, mi tolgo le lenti a contatto, godo di quell’attimo in cui i miei occhi vivono liberi da Eye-liner, mascara e lenti trasparenti che mi correggono la miopia. Mi guardo allo specchio, chino la testa leggermente a sinistra, alzo il sopracciglio e penso “ammazza che bona!”. Poi abbasso lo sguardo e lo rialzo nuovamente. Mi guardo…mi guardo dritta negli occhi. Supero le macchie di gocce d’acqua che si trovano sullo specchio, riconosco quelle che sono là da 8 giorni e con indifferenza le ignoro. Mi guardo, appoggio entrambe le mani sul lavandino e penso “sono felice? Penso di aver vinto, sí…ma ho vinto veramente?”. E con queste domande vado a letto.
Il mattino arriva presto. La sveglia suona alle 6.30, e quando apro gli occhi ho quella strana ma fantastica sensazione di aver dormito per giorni. Rilassata, serena e felice. Non lo vedo il sorriso che ho in volto, ma sento che continuo ad accennarlo. L’unico mio testimone in tal caso è lo specchio, ma in questo momento si trova talmente lontano da me e dal mio letto matrimoniale che voglio credermi sulla fiducia.
E allora sgrano gli occhi, li strofino…li strofino fino quasi a sfondarmeli. E ancora…Che goduria questo gesto. Con la stessa energia faccio uno sbadiglio, che da un lato merita la standing ovation e dall’altro mi da quasi quella strana sensazione tipo di essermi giocata la mandibola. Faccio un check. Ok. Sto bene. Tutto sotto controllo.
Mi alzo, vado in bagno, poi in sala e ripenso a quelle domande che la sera prima, davanti al sobrio specchio del bagno dalla cornice color argento, hanno invaso la mia testa. Sulla parete vicino al divano, tra una porta finestra e l’altra, ho appeso un porta medaglie in legno fatto e dipinto a mano dal mio amico Mitta di La Thuile. Appese ci sono le medaglie più importanti, le più pesanti, le più piene di sveglie presto, di fatiche ripagate, di traguardi impossibili ma raggiunti, di sudore, pianti, abbracci, allenamenti in solitaria, in gruppo, di foto venute male, e foto con l’occhiolino venute molto bene, crisi da camere d’aria da cambiare, cuffie rotte, occhialini appannati, costumi troppo stretti o troppo larghi ma mai veramente sexy (almeno su di me), colazioni abbondanti ancora da smaltire, sorrisi incredibili ed emozioni che ancora oggi mi regalano una felice pelle d’oca. Le guardo con sorriso tutte. Dal 2015 ad oggi. Tante di quelle medaglie parlano da sole. In tutte le gare, a prescindere dal risultato, ho sempre vinto. Ho vinto le mie paure, ho stravinto sulle mie debolezze, ho superato limiti che esistevano solo nella mia testa. Ma quando è successo? Quando è successo che ho vinto veramente? Tra tutte ne vedo una che brilla più di altre, ed è quella di Cerva 2019, dove insieme a due mie migliori amiche, da sempre porta bandiere dell’anti-sport, ho tagliato il traguardo della Relay dell’IROMAN 70.3.
Per me correre 21km forse è stato più facile che per loro nuotare 1,9km e pedalare 90km.
L’ho immaginato tanto questo momento e lo aspettavo da anni…e quel giorno, vedere che insieme siamo riuscite a far vincere la paura delle acque libere a Chiara e a far dimenticare la fatica ad Anna, mi ha reso più felice che mai.
Così stasera quando dopo cena tornerò a casa e mi guarderò nuovamente allo specchio, dovessi domandarmi di nuovo “quand’è che vinci veramente?”, potrò andare a letto serena, perché ora so che nella vita vinci…vinci tante volte, ma è quando unisci le forze e l’amicizia diventa sport e lo sport si trasforma in amicizia…ecco, è proprio in quel momento che vinci veramente.
#valorizzalatuaaudacia